domenica 30 giugno 2013

TOP 3: GIUGNO (2013)

1. Ade
    Death Metal
2. Ecnephias
    Death/Doom Metal
3. Death SS
    Industrial/Heavy Metal

ECNEPHIAS – NECROGOD



A distanza di quasi due anni dal disco “Inferno”, gli italiani Ecnephias rimescolano le carte in gioco e lanciano “Necrogod”, nuovo e probabilmente -come già accennato dal cantante Mancan- miglior album della band quasi ventennale. Molto facilmente alcuni ascoltatori faranno fatica ad individuare i generi proposti dagli Ecnephias, e devo ammettere di aver incontrato qualche difficoltà pure io, forse a causa delle atmosfere e per la particolarità di quanto proposto. La band partita proponendo un Black Metal dai tratti celebrativi, dopo mutazioni e mutazioni, arriva ad eseguire un Death/Gothic/Doom Metal dalle forti atmosfere misteriose (che si possa descrivere come un misto di Occult, Dark, Death e Doom Metal?). Sono presenti comunque influenze da parte di band come Moonspell e Rotting Christ, ma continuamente rinnovate, arricchite e personalizzate, facendone un grandissimo punto di forza per gli Ecnephias. Molto buona la prestazione del vocalist: Macan possiede un gran growl da un suono voluminoso, forse una delle cose più caratteristiche del disco; e bisogna dire che se la cava più che bene anche in clean. Le chitarre eseguono riff piuttosto semplici, ma che insieme alle tastiere riescono a dare pesanti atmosfere ai brani; la batteria spesso esegue ritmi tendenti a qualcosa dal sapore tribale: forse di matrice Stoner per quanto riguarda rullante e piatti; si fa comunque uso della doppia cassa, questa volta anti-tritacarne. Ogni brano ha un grosso valore e molta qualità dietro a se, c’è da dire però che canzoni come “The Temple of Baahl-Seth”, “Necrogod” e “Voodoo” danno una grossa spinta al disco, già ottimo di per se. Con questo album gli Ecnephias, non solo vanno oltre ad ogni aspettativa e si superano, ma sfornano un lavoro non solo da ascoltare, ma da capire, nelle sue più tetre e misteriose sfaccettature; a mio parere si tratta di una delle migliori uscite Italiane di questo 2013, che sicuramente colpirà molti ascoltatori. Voglio concludere con una frase ironica che spero non venga presa come offensiva: se fai parte di quel filone di Italiani che sostengono che la città di Napoli non ha nulla di bello, non è vero, Napoli ha gli Ecnephias!

VOTO: 8,5/10
-SADIK- 


sabato 29 giugno 2013

DELIRIO OCCULTO - AS I DIE


Oggi vi recensirò un genere in cui mi vedrete scrivere pochissimo se non mai, con i Delirio occulto oggi si parla di Black Metal nostrano. I Delirio Occulto, gruppo siculo nascente dalle ceneri degli Opus in Flames hanno preso vita nel 2006 di una pubblicazione di un demo omonimo ottenendo un buon riscontro anche all'estero. Nel 2010 rilasciano il loro primo LP "As I die", album in questione che analizzeremo oggi. Per quanto a me il Black Metal non possa piacere, per motivi che non sto qui a spiegarvi, stranamente i Delirio Occulto riescono a prendermi proponendo un album veramente vario e valido, che non annoia per niente, soprattutto con la prima  traccia "Rusted", che a tratti presenta anche varie influenze di altri generi del Metal per quanto riguarda il riffing. Una nota davvero positiva di questo lavoro è la traccia "My Cold Rebirth" che potrebbe essere scambiata tranquillamente da i meno esperti (come in questo caso me) per una canzone dei Peste Noire, per la gestione delle voci e degli arpeggi di chitarra. In linea generale questo disco è tendenzialmente e volutamente rapido e violento, a parte ovviamente la appena citata "My cold rebirth": adatto ai fan del Black old school. La produzione è fatta abbastanza bene, tenendo conto di che genere si sta parlando, senza errori e da un suono scorrevole, di conseguenza il disco non presenta grandi difetti se non alcune piccole sbavature. Quindi senza essere titubante posso affrettarmi a dare un voto a questo "As i Die", che con i suoi 46 minuti di durata, non mi ha annoiato nemmeno un istante. Ottimo lavoro da parte dei Delirio Occulto, che ora sta lavorando a un nuovo EP, che spero mi piacerà ugualmente.

VOTO: 8/10
-KOR3- 


venerdì 28 giugno 2013

ADE - SPARTACUS



Ringrazio Tito Vespasiani (manager della band) per avermi inviato gentilmente il promo.

Dopo l’ uscita del primo full-length “Prooemivm Sanguine” i romani Ade tornano in campo con “Spartacus”, album-rivelazione che sta ottenendo ottimi feedback dalla critica musicale. Il disco supera ogni aspettativa: un vero e proprio intreccio di melodia, tecnica e brutalità legati insieme da una buona dose di epicità, risultando così un prodotto compatto e ben riuscito. Ma partiamo dalla novità: in questo disco alla batteria troviamo nientepopodimeno che George Kollias (Nile), successivamente sostituito da Giulio Galati (Hideous Divnity ed Onryo), posto più che meritato per la nuova promessa italiana. Ascoltando “Spartacus” troverete un Death Metal articolato e massacrante con molti inserti di musica antica greco/romana, andando così ad aggiungere atmosfere dal forte sapore eroico: qualcosa di simile a quanto già proposto dagli Ex Deo, o dai famosi Nile e le loro armonie egizie. Non mancano comunque influenze di altri gruppi, possiamo individuare la mano dei Decapitated (forse caduti un po’ in basso ultimamente, ahimè), i già citati Nile e in maniera minore Behemoth ed Amon Amarth. La musica è caratterizzata da molti cambi di tempo eseguiti con maestria e precisione: il riffing molto articolato e ben strutturato risulta pienamente a tempo con i ritmi infernali di Kollias, aiutando anche a costruire muri sonori di notevole spessore, interrotti da inserimenti melodici creati con l’ ausilio di strumenti quali flauto e cetra. Altra cosa da notare è la voce: il vocalist fa uso di un growl piuttosto levigato/grattato, caratteristica che troviamo maggiormente nel primo Death Metal; la produzione e ottima e non risulta de-valorizzante, bello anche il songwriting che, unito alla musica, regala anche certi momenti da una drammaticità emozionante. Dopo una decina di ascolti posso ritenermi più che soddisfatto di questo album, risulta piacevole ed intrigante, anche se non pienamente adatto alle orecchie di tutti; un prodotto a cui bisogna prestare attenzione e dare il giusto valore, onde evitare un’ altra delusione da parte dei fans italiani.

VOTO: 9/10
-SADIK-


mercoledì 26 giugno 2013

DIEVANITY – ORDINARY DEATH OF SOMETHING BEATIFUL


I DieVanity prendono vita nel 2006 sotto il nome di “Dovetail”, successivamente tramutato in “DieVanity”; la prima fatica della band risale al 2009 con l’ EP “Objects in Mirror are closer than They Appear “, e solo tre anni dopo danno vita a “Ordinary Death of Something Beatiful”. Dato il titolo dal forte sapore d’ odio e di nichilismo, mi aspettavo qualcosa di violento a livelli di Anaal Nathrakh, anche se devo ammettere che la copertina e il logo mi hanno smentito sin da subito. La musica dei DieVanity è tutt’ altro che cattiva: atmosfere cupe, romanticismo, emotività e melodie creano in questo disco –oltre ad alcune caratteristiche del genere- venature Gothic Metal/Gothic Rock, senza tralasciare parti più sull’ Alternative/Groove Metal; ma potete comunque capire le ritmatiche del disco scoprendo che le band di riferimento sono Him e Avenged Sevenfold. Il punto forte dell’ album è la linea vocale del cantante, molto emotiva, pulita e da un certo timbro difficile da scordarsi, perfetta anche per il genere proposto; spesso e volentieri le chitarre assumono sembianze acustiche, e come detto prima non mancano riff da un sono roccioso stilisticamente Alternative Metal, belli anche gli assoli che colpiscono nel segno. Nulla da dire sulla prestazione del bassista e del batterista, nulla di grosso ma comunque preciso; altra cosa da notare è lo sfondo da un suono elettrico creato da un synth. Il disco è ben mixato ed ha un suono pulito, ma purtroppo la carenza di personalità si sente eccome, d'altronde come con molte altre band, cosa che oramai è diventata quasi classica; probabilmente il successo futuro sarà alle porte della band –data comunque una certa qualità dei brani-, non attendo altro se non ascoltare cosa tireranno fuori nel prossimo prodotto, sperando di trovarmi sorpreso e spiazzato.

VOTO: 7/10
-SADIK-

venerdì 21 giugno 2013

TUCHULCHA – LEGIONS OF ETRURIA


Nati con l’ intento di creare qualcosa di leggermente innovativo, Emiliano (voce), Enrico (chitarra) e David (basso) creano i Tuchulcha, band Death Metal proveniente dalla provincia di Pisa. In realtà i tre musicisti sopra citati suonavano già insieme nei Carnefix, Grief Industries e Zonalimite, infatti l’ affiatamento e il feeling che c’è tra i tre amici si sente, alimentato anche dai successivi membri, vale a dire Federico (batteria) e Francesco (chitarra). Sicuramente una parte dell’ originalità sta nelle tematiche affrontate, vale a dire l’ antica civiltà Etrusca (guarda a caso Volterra, la città da cui provengono, è di origini Etrusche); la cosa a parere mio da una marcia in più, in quanto attira veramente l’ ascoltatore: un po’ come con i Nile, cultori dell’ Egitto, oppure con gli italianissimi Ade, amanti dell’ antica Roma e Grecia. Appena iniziato il disco, vengo colpito da un dubbio esistenziale, e mi dico: “Ma…il cantante…vuole fare growl…o cantare in sporco…?”; eh sì, Emiliano è in possesso di tonalità buone legate ad una stilistica che ti confonde veramente le idee nel giro di cinque secondi. Non che sia uno svantaggio la parte vocale, anzi, da un tocco di classe in più al disco; l’ album suona compatto ed omogeneo, tra le influenze in rilievo troviamo gli Obituary, i Cannibal Corpse ed i maniera più leggera i Monstrosity, tutto ciò fa viaggiare il disco su ritmatiche spesso e volentieri veloci o martellanti. Nonostante i riff di buona fattura e valorizzanti, c’è da notare che le parti di batteria in alcuni casi risultano troppo ripetitive, ed è proprio da qui che proviene la monotonicità del disco: senza dubbio il batterista ha una buona tecnica, esegue blast beat veloci ma non troppo lanciati ed equilibrati, ma probabilmente si basa troppo su ritmatiche molto simili. La produzione è sicuramente buona, pulita e piacevole all’ ascolto; unico pelo nell’ uovo: il suono della batteria risulta un po’ troppo statico e continuo. Questa volta tenderò ad essere di maniche più strette del solito; alla band serve più personalità di ora…perché non mescolarci insieme musica etrusca? Se fatto bene, uscirebbe un gran prodotto ed emergerebbe una grande band, più grande di quanto lo sia ora.

VOTO: 6,5/10
-SADIK-

giovedì 20 giugno 2013

THE ABYSS GODS - BIRTH OF THE GODS


Al momento di recensirli, gli Abyss Gods mi vengono subito presentati come un gruppo Prog/Epic/Heavy, al quale aggiungiamo poi il Thrash suggerito da Metal Archives e le varie influenze (ne cito alcune: Hammerfall, Judas Priest, Slayer) suggeriteci dalla pagina Facebook: da bravi metallari sappiamo che la famiglia dei sottogeneri dell’ Heavy Metal è perfino più estesa dei sottopartiti del centrosinistra italiano, ma che, a differenza di quest’ultimo, è costantemente accresciuto e rinforzato dall’opera di nuovi gruppi innovativi e pieni di buona volontà; possiamo collocare nel numero di questi gruppi gli Abyss Gods, come direbbe il loro concittadino Seneca (che a dirla tutta non era romano, bensì spagnolo)? Difficile dirlo. Giudicare da un demo il futuro di una band è come cercare di intuire l’altezza di un albero guardando il seme che dev’essere piantato. Ciò che si ha in mano è materia, materia pura: voce, chitarra, batteria e, a quanto pare, nessuna voglia di piegarsi alla catalogazione della musica sotto reparti della Mediaworld. Tanto per cominciare perché nessuna delle influenze citate dal gruppo si manifesta apertamente durante l’ascolto dell’album, impossibile da inquadrare sotto un genere ben definito. Certe andature tipicamente Oldschool Thrash, una voce dai tratti Epic, stacchi acustici, assoli melodici, che probabilmente se ascoltati in momenti separati ci farebbero pensare di stare ascoltando brani diversi di artisti diversi. È evidente che il gruppo punta in alto, come è evidente che se questo demo fosse stato composto venticinque anni fa sarebbe bastato a garantire agli Abyss una buona spinta verso il primo vero album. C’è da dire, però, che nonostante i tre anni, nonostante la saggia scelta di partire dalle cover, il lavoro da fare è ancora molto, soprattutto sulla voce, già non particolarmente “allenata” che in certi punti cala davvero molto, e sul mixaggio. Forse ci sarebbe anche da aggiungere una tastiera, ma questo va a discrezione della band e preferisco non intromettermi. Indubbiamente l’originalità è il punto di forza del gruppo, che riesce a regalarci un album piuttosto piacevole e stimolante seppur non estremamente innovativo, le doti tecniche non mancano, ciò che invece è assente è la capacità di armonizzare i cambi melodici dei singoli pezzi; siccome non riesco a spiegarmi, fornisco una metafora: immaginate una scala composta da tre soli altissimi gradini. Il gruppo deve trasformare quei tre scalini in cinque, in modo da rendere la salita (e l’ascolto) più fruibile; i ponti sono abbastanza numerosi e ricercati, ma presentano alcune insufficienze tecniche nella loro composizione. Temo però che anche aggiustati questi dettagli (in ordine d’importanza: voce, cambi melodici, mixaggio) il miglioramento della qualità non renderebbe comunque gli Abyss Gods né un gruppo di culto, né una novità in campo musicale. Birth of the Gods certo non è uno di quegli album che lasciano il segno, le cui tracce restano impresse al punto di farci premere ripetutamente il tasto replay. Serve una vera e propria svolta, per la quale non potranno probabilmente bastare poche ore di prove dopo il lavoro; il gruppo, nonostante le buone basi, farà molta fatica ad emergere, ma superata la prima, massacrante scalata, per i nostri eroi la strada sarà totalmente in discesa, piena di successo e soddisfazioni. Per ora sinceramente non vedo risultati tangibili per la band, considerato anche il fatto che sono tutti alle prime armi (credo), ma se vogliono continuare a suonare giusto per il gusto di farlo, sappiano che mi troveranno sotto al loro palco il prima possibile. Posticipiamo invece l’ascesa all’ Olimpo del metal di qualche anno in attesa di una rivoluzione interna. Rimandati a settembre - ma con una pacca sulla spalla.

VOTO: 5,5/10
-Mørke-

mercoledì 19 giugno 2013

WAR PLAGUE/PORK DELIKATESZEN - DER WARPORK PLAGUEMAFIA


Imposto il solito carattere (Arial 12, come voluto dal saggio -SADIK-, fondatore del blog) e sono colto da un piccolo attacco di panico: come arrivare a fine foglio? Ergo: quanto devo essere oggettivo per dare una descrizione perlomeno accettabile, senza però mutare la mia impressione generale del disco? Mi spiego meglio: questo disco l’ho personalmente trovato una devastazione di ogni criterio di musica, uno stupro uditivo di trentasei minuti che trascende ogni concezione di inascoltabilità. In una parola: una figata. In questo abuso di doppi punti (che denota, ahimè, una completa incapacità di trovare nuove idee: starò invecchiando?) tento di sforzarmi di fornire una qualche guida all’ ascolto dello split, composto all’ inferno e distribuito qui sulla terra. Se apprezzate (e possibilmente ascoltate) gruppi come Brain Drill e Slaughterbox, e questo vostro affetto sovrasta le tendenze omicide verso il loro batterista – drum machine – mitragliatrice, allora adorerete questa opera; se invece ciò che provate è qualcosa di anche solo leggermente inferiore ad un amore platonico, dopo tre minuti appena di ascolto le vostre orecchie incominceranno a sanguinare. Il primo pezzo, gentilmente offertoci dai War Plague, si apre con una simpatica intro Noise, che da sola basterebbe a scoraggiare eventuali ascoltatori poco amanti dell’ Extreme Metal; ma se ciò non bastasse a farci presagire cosa succederà dopo, saremo scaraventati a terra dopo trenta secondi da urla devastanti, riff violenti, pugnalate cibernetiche e tanto, tanto casino. Ciò durerà per la bellezza di otto tracce, mai ripetitive, in cui i membri del gruppo si divertiranno ad inserire discorsi pre-registrati ed effetti audio che, oltre ad arricchire i pezzi con un po’ di sano humor finnish–style (strano, per degli statunitensi) , ci dimostreranno, una volta passato il testimone ai Pork Delikateszen, che i due gruppi sono sulla stessa lunghezza d’onda, poiché ne troveremo parecchie anche nella seconda parte dell’album. È ora che anche noi italiani facciamo vedere di che pasta siamo fatti! Scendono in campo e tengono alto l’onore della nazione, dimostrandosi casinisti e distruttivi al pari dei compagni e concedendoci un po’ di growl in italiano, che è sempre piacevole ascoltare. Effetti collaterali dopo l’ascolto dello split: confusione, mal di testa, leggere allucinazioni. Per concludere, quando qualcuno obbietterà che il Metal è solo casino, non contradditelo, non citate i soliti Nightwish fritti e rifritti: fategli ascoltare questo album, e ditegli: <<È tutto vero!>>

VOTO: 7/10
-Mørke- 


martedì 18 giugno 2013

TELEVISION 60’S – CELEBR-HATE



Nati da un’ idea di due ragazzi in provincia di Bergamo, i Television 60’s, ritornano in scena con il loro secondo disco “Celebr-Hate”, pubblicato dalla nostra partner Street Symphonies Records. “Celber-Hate” è basato sulla classica triade “Sex, Drugs & Rock’n’Roll”, all’ insegna del divertimento, della trasgressione e della giovinezza; la stilistica dell’ album è un mix di Sleaze, Hard Rock e Punk, risultando così aggressivo, dinamico e vivace, nonché abbastanza derivato. Questo è uno dei dischi in cui non c’è molto da dire: il classico lavoro ben riuscito ed azzeccato; protagonisti della musica dei Television 60’s sono sicuramente i riff semplici, graffianti e slancianti ed una voce che da il meglio di se; non sono da trascurare però alcuni cambi di tempo che riescono a coinvolgere di più l’ ascoltatore, stesso per quanto riguarda i ritornelli. Potrete capire quanto appena detto ascoltando i brani “Bad Behaviours”, “Don’t Call Back”, “Sex Circus“ e “Messaline”, a parere mio tracce campione per comprendere interamente il disco. “Celebr-Hate” suona sempre vivace e in maniera semplice, vi garantirà un’ ascolto facile e divertente senza andare a toccare punti scontati o prevedibili, mantenendo comunque una buona qualità musicale, piacevole e adatta a gran parte delle persone.

VOTO: 7/10
-SADIK-


domenica 16 giugno 2013

SYNFUL IRA – BETWEEN HOPE AND FEAR


Come altre numerose band, i Synful Ira nascono inizialmente come cover band, proponendo pezzi di Nightwish ed Evanescence: tral’ altro gruppi di riferimento del progetto, avviato nel 2010. Visto che ad un primo e superficiale ascolto il disco mi è risultato discretamente convincente e poco coinvolgente, dovrei prendermi a sberle e svegliarmi un po’, dato che “Between Hope and Fear” ha il suo fascino. Come già detto prima tra le band di riferimento troviamo Nightwish, Evanescence e gli italiani Lacuna Coil, ma i Synful Ira riescono ad arrivare a spunti Power e Progressive, nella stilistica dei primi Dream Theater. Punti forti del disco sono sicuramente gli arrangiamenti che vanno a creare melodie ben costruite e piacevoli all’ ascolto, non sono da trascurare sicuramente le tastiere elettriche, gli arpeggi e un riffing roccioso e pieno. Tra le canzoni migliori c’è sicuramente la movimentata e melodica opener “True Lies”, la progressiva “Revenge of Mind”, la più lenta “Hope” e la pianistica “8:45”; c’è da sottolineare comunque che ogni singola canzone ha un ruolo preciso ed importante, guarda a caso si tratta pure di un concept album. E’ inutile dire però che il disco è molto derivato, bisogna notare però che la band vive in uno dei tanti generi in cui è veramente dura essere innovativi e creare qualcosa di nuovo, ma nonostante questo il disco merita la nostra attenzione; una band che ha le doti per riuscire a stupire anche in futuro, ma ora non ci resta altro se non attendere il loro ritorno.

VOTO: 7/10
-SADIK-

venerdì 14 giugno 2013

ERRAGAL - REALMS OF THE UNDERWORLD


Non si può dire che di strada dal primo demo Lord Erragal, uno dei pionieri che, dal 2009, portano il Black Metal tra le strade di Baghdad, non ne abbia fatta: Realms of The Underworld subito si propone, dal flauto che apre i battenti dell’album, come un’ardita promessa di un lavoro che rivoluzionerà il 2013, nel suo sfociare di atmosfere funerarie e grunt profondissimi. Pizzico per pizzico andiamo a riscoprire gli antichi rituali mesopotamici, prima nella musica e poi nei testi, evocativi di immagini d’immenso che si manifestano nella nostra mente; un vero e proprio viaggio nelle profondità dell’assoluto, ma se per tutta la durata dell’intro e dei primi pezzi realizziamo che le premesse per l’album che lancerà il progetto Erragal ci sono, ad un ascolto più approfondito l’opera, privata degli innumerevoli filtri che la appesantiscono, appare blanda e monotona, come una bella ragazza che, privata del trucco, si rivela essere un clone della Maionchi. In questo tripudio di riff tipicamente black, orecchiabile, seppur monotono in molte sue parti, laddove Goatmoon o Satanic Warmaster avrebbero messo a dura prova le nostre orecchie con i loro scream laceranti, Erragal gioca nascosto, in difesa, riducendo la propria voce alla stregua di un qualsiasi altro strumento, coperta da canti lontani e tamburi che emergono di tanto in tanto. Manca totalmente una presa di posizione, la fermezza e certezza che l’artista esprime nel voler comporre un album così rivoluzionario mancano però nell’ aspetto più tecnico della sua composizione; ed ecco che è stato fatto il cosiddetto passo più lungo della gamba, che dà come risultato un album piuttosto stucchevole e ripetitivo. Ciononostante, il mixaggio ottimo e la ricercatezza degli arrangiamenti rendono Realms of the Underworld non solo un’esperienza mistica interessante, ma persino un disco piacevole da ascoltare. Ma se un giorno vedremo Erragal in cima alle classifiche, non sarà certo stato questo l’album a segnare la sua svolta.

VOTO: 6/10

-Mørke-

giovedì 13 giugno 2013

TUTTE LE COSE INUTILI - E FORSE NE FACCIO DUE


Ascoltando questo disco non ho davvero saputo come prenderlo, come Punk cantautorale, il che ne farebbe un album da ascoltare, se non altro, per l’originalità della proposta, o come pura sperimentazione, il che sarebbe forse pretenzioso e probabilmente acritico. È chiaro che c’è una strada che il gruppo segue, sotto l’influenza dei gruppi che stanno costituendo la “New Wave” della musica italiana (Nwoim?), come Le Luci Della Centrale Elettrica o, in misura minore, Zen Circus, ma che a me rimane totalmente oscura anche a seguito dell’ascolto di questo lavoro. Le tracce, a lungo andare, possono apparire ripetitive a causa della struttura fissa acustica – testo “sparpagliato”, per niente reso più vario dai numerosi effetti e distorsioni con i quali la band gioca; ciò porta ad eclissare, invece, il significato dei testi, talvolta acido e surreale, ma sempre molto evocativo e condito da un piacevole accento toscano, che aiuta a rendere più scorrevole, quasi contrastando con la violenza dei concetti, un progetto così emotivamente complesso. La musica e i testi sono slegati, quasi nemici, ognuno va per la strada propria; il meccanismo della percezione emotiva umana, per cui non conta “cosa si dice” ma “come lo si dice”, la fa da padrona, e genera confusione e cacofonie, tra le quali però si trovano gemme più rilassate, sfumature più orecchiabili, accenti più comprensibili. Forse è stata la fretta a consigliare male, forse l’emozione, sta di fatto che, se vogliono proseguire, i TLCI devono decidere se collocarsi in un ambito più “Indie commerciale” o totalmente sperimentale, stile Uochi Toki: se nel primo caso almeno parte dell’originalità del flusso di coscienza joyciano che accompagna il lavoro (si veda soprattutto Boulevard Monmartre, quasi l’ode di un Catullo moderno) andrà perduta, nel secondo intravedo difficoltà enormi per la band pratese nell’ ascesa verso il successo. Nel frattempo, mi dispiace, ma il disco non è sufficiente.

VOTO: 4/10
-Mørke-



mercoledì 12 giugno 2013

GAWITHER - KABOOM!


Reduce dall’ascolto di “Kaboom!” dei Gawither, riporto un bernoccolo da record sulla testa e un materasso parzialmente ceduto, entrambi dovuti al pogare estremo che impone questo disco. Eh sì, perché titolo e copertina in stile “Municipal Waste” (non a caso i membri del gruppo si dichiarano fan del gruppo statunitense) mantengono la loro promessa di un Crossover Thrash bastardo e a tratti cazzaro. Una sveglia dai toni forti, lo schiaffo di Spiritual Healing, il mosh di The Art Of Partying, a cavallo fra i D.R.I, i Violator e gli Hate for Breakfast. Poche frasi e concetti, urlati ai quattro venti con estrema durezza, e accordi semplici e ben piazzati rendono questi tre meranesi i migliori compagni di pogo che possiate desiderare. Tanto più ora che gli instancabili inizieranno a girare nei dintorni di Bolzano – e oltre – tra concerti e bevute, con una pausa solo per leggere le molto positive recensioni (tra le quali, ci auguriamo, la nostra) provenienti, fra le altre, da nientemeno che Metallized e Italia di Metallo, che ci fanno d’istinto chiedere se questo piccolo successo non sia troppo prematuro. Indubbiamente il lavoro va sgrezzato, senza perdere l’energia sprigionata dal thrashume del gruppo, soprattutto per elevarsi al di sopra della massa di gruppi emergenti che non vanno oltre il primo EP senza proporre nulla di nuovo in generi ritenuti saturi. Ma le basi ci sono.

VOTO: 6/10
-Mørke-

lunedì 10 giugno 2013

GIUSEPPE BINETTI – OLTRE IL CONFINE


Sicuramente molti di voi conosceranno Giuseppe Binetti per la “scenata” e le critiche contro i giudici di X-Factor, cosa che sicuramente ha scosso molte polemiche negative sull’ artista in questione, ma tralasciamo questa parte, e concentriamoci sulla musica prodotta da Giuseppe. “Oltre il confine” è un disco che spazia abbastanza tra i generi, andando dal classico Rock italiano fino ad arrivare a spunti di Blues e di Reggea; le ritmatiche spesso e volentieri sono lente, cercando pure (ovviamente insieme all’ interpretazione vocale) di emozionare l’ ascoltatore, anche se, almeno a mio parere, il tentativo non ha dato del tutto i suoi frutti. Tra le cose pregevoli del disco ne fanno sicuramente parte gli arrangiamenti singoli e i piccoli assoli comunque piacevoli all’ ascolto, non è da escludere però l’ accuratezza data alla sezione ritmica e le piccole atmosfere che vanno a crearsi in alcuni brani. Purtroppo l’ album eccede di difetti: una delle maggiori pecche è la voce, in quanto (già non essendo una grandissima voce in campo di tonalità e suono) sono presenti alcune stonature evidenti, e con un orecchio più attendo si sente chiaramente la correzione vocale con l’ uso di un apposito programma per PC, molto evidente soprattutto nel ritornello di “Angeli Azzurri”. Un altro difetto è sicuramente la scelta di dare maggiore risalto alla voce di Giuseppe, lasciando la base strumentale indietro; pecca pure quando la linea vocale e quella strumentale non si uniscono, creando un palese distacco in “Violentami”; da notare anche i testi poco originali e significativi. Presentatosi come Il nuovo Volto del Rock elegante Italiano, ahimè, sono costretto a bocciare il disco per quanto sopra riportato; però c’è quasi da riconoscere una cosa: Giuseppe sta iniziando ad avere un briciolo di successo, che la promessa -nonché classica frase-  “Un giorno sentirete parlare di me” fatta ai giudici stia prendendo forma?

VOTO: 5/10
-SADIK- 

domenica 9 giugno 2013

DEMISE AWAITS - DEMISE AWAITS


























Oggi si torna a recensire qualcosa di facile comprensione per tutti, infatti in Demise Awaits con il loro omonimo EP propongono un Thrash Metal condito con tratti di Alternative/Heavy in modo ottimale. Se dovessi fare una lista di ciò che mi è piaciuto di questo album di sicuro al primo posto metterei le parti di chitarra che sono gestite veramente bene, sempre azzeccate e originali con riff piacevoli da ascoltare e mai noiosi. La parte di batteria riesce a districarsi molto bene tra le chitarre e accompagna sempre in modo perfetto soprattutto nelle bellissime sfuriate di pedali che ci sono in alcune canzoni. I difetti di questo EP secondo me sono fondamentalmente 2 ovvero la voce che non si adatta perfettamente alla parte strumentale, e la produzione. Il primo di questi due difetti può anche derivare dal secondo quindi dato che si tratta di un EP la qualità non è il massimo, ma questo si può perdonare. Nonostante tutto anche se io non sono appassionato di questo genere musicale questo EP mi ha soddisfatto, quindi la sufficienza piena se lo merita!

VOTO: 6,5/10
-KOR3-

sabato 8 giugno 2013

GALERA - ROMA ISTERICA


I Galera sono band Hardcore Punk esibitasi nei primi anni addirittura come spalla in un concerto dei Napalm Death, forti di questa esibizione hanno subito deciso di lanciarsi nel mondo della musica, pubblicando un EP. I Galera con Roma Isterica propongono un genere che a me piace molto, ovvero l'Hardcore Punk/Powerviolence, ma non L'Hardcore Punk della vecchia scuola italiana, si rifà bensì al Hardcore/Grindcore tipico degli ultimi anni '90 e dei primi anni 2000 (influenza che probabilmente è derivata dall'esperienza con i Napalm Death) e questo disco a mio avviso è efficace e ben fatto: canzoni brevi e aggressive, riff di una certa violenza e testi altrettanto violenti; a proposito dei testi, mi è sembrato di notare una certa affinità con alcuni testi dei Cripple Bastards (a cui assomigliano vagamente per il modo di suonare), per la precisione quelli in cui si critica la società, almeno così mi è parso di notare. In ogni caso Roma Isterica è un album che si lascia ascoltare piacevolmente, anche grazie alla durata, ma perché secondo me è fortemente legato ai canoni del genere, ripeto infatti che in alcuni punti sembra quasi di ascoltare i Napalm Death di "Scum". Auguro ai Galera di produrre altri album di questo tipo e di avere una carriera fortunata e lunga.

VOTO: 8/10
-Dom-

venerdì 7 giugno 2013

SPLATTERS – FEAR OF THE PARK



Benvenuti nel circo degli orrori, cari lettori. E’ giusto dirvi che, una volta entrati, vi imbatterete in lotte contro pagliacci malvagi e zombie, ma non temete, una volta sconfitti potrete usare le nostre attrazioni migliori. Ma lasciate che vi presenti il pezzo forte di Zombieland: gli Splatters eseguiranno, solo per voi, un Punk/Heavy Metal intinto nel Glam ed influenzato da band come Misfits e W.A.S.P., fino ad arrivare ad artisti come Alice Cooper, White Zombie e GWAR; cercando di ripagarvi per avere sconfitto i fastidiosi esseri che infestavano il circo, prima del vostro arrivo. …Ok dai, mi sono divertito abbastanza ad inventare la storiella, tral’ altro abbastanza basilare e scontata, ma chissene frega, torniamo seri. Purtroppo vi devo anticipare che, a parere il mio, il disco non è dei migliori, ma ora vi andrò a spiegare passo per passo cosa c’è che non va, ed ovviamente anche le cose positive, che non mancano comunque. Inanzitutto: la produzione risulta molto appiattita e quasi priva di dinamicità, cosa che rende l’ ascolto del disco piuttosto faticoso e complicato, cosa che fa perdere molta qualità a “Fear in the Park”; altre cose che penalizzano l’ album sono le atmosfere/suoni da film horror di bassa categoria, e soprattutto la mancanza di personalità, infatti la musica della band risulta molto derivata. Nonostante questo l’ album contiene riff carini (ma non sempre, anche perché il suono delle chitarre risulta zanzaroso) e piccoli assoli godibili; non è da trascurare però una capacità di mantenere buone ritmiche, e brani esempio come “Welcome to Zombieland”, miglior canzone del disco, a mio avviso. C’è ancora un pochetto da lavorare su alcune cose e ragionarci sopra, ma attenderò sempre il ritorno degli Splatters, sperando sia più maturo, accurato e sviluppato del loro debutto.

VOTO: 5,5/10
-SADIK-

mercoledì 5 giugno 2013

SINEZAMIA - LA FUGA


I Sinezamia nascono nel 2004 già attivi e laboriosi: dopo alcuni Demo, nel 2007, la band pubblica due EP che riscuotono un buon successo sia in campo italiano che estero; nel 2012 la band pubblica il loro primo album “La Fuga”, segno di maturità e di progresso per il gruppo tutto italiano. La loro musica è facilmente riconducibile alla New-Wave dei primi Litfiba, ciononostante non mancano forti influenze dal Gothic Rock, mentre minori dal Doom Metal e dal Blackgaze; le cose più interessanti de “La Fuga” sono sicuramente le atmosfere oscure presenti in ogni brano, e non solo nella musica, ma anche nei testi (tutti in italiano), i quali riescono a rendere il disco ancora più cupo, mantenendo costantemente una linea tetra ma originale; la produzione è buona: i suoni sono puliti e valorizzano le atmosfere, altro vantaggio per il gruppo. Come brani degni di nota possiamo notare “Ghiaccio Nero”, canzone con intense influenze stile Sisters of Mercy; la più calma “Nella Distanza”, senza dimenticare la vivace e trascinante “Ombra”; ma l’ apice dei Sinezamia lo troviamo in “Venezia”, grazie ad alienanti tastiere, a tratti anche sinfoniche. Non avrei mai detto che una band così mi fosse mai piaciuta…ebbene, devo ricredermi. “La Fuga” resta un segno indelebile di una band già matura e capace di produrre un buon lavoro: credo che in futuro questi ragazzi possano diventare una delle band di riferimento in Italia (che sia veramente la fuga dalla classica musica Rock italiana?); consiglio questo disco a qualsiasi persona amante della musica, in quanto si tratta di una band adatta a chiunque. Ah, dimenticavo, un pizzico di personalità in più non sarebbe male, ma resta comunque un buon lavoro.

VOTO: 7/10
-SADIK-

lunedì 3 giugno 2013

DEATH SS – RESURRECTION



Proprio in questi giorni ho avuto tempo e piacere di approfondire per bene la discografia dei Death SS, e proprio alla fine del mio viaggio tra i loro vari album cosa spunta? Eh sì, proprio il loro nuovo disco, gentilmente procuratomi dalla Gatti Promotion! Sicuramente i Death SS non hanno bisogno di presentazione data la loro grandissima fama, capitanati come sempre dal vampiro Steve Sylvester, cantante che ho avuto piacere ed onore di incontrare una settimana fa alla presentazione del proprio libro “Il Negromante del Rock” al Pandino Fantasy Book, tral’ altro anche con lo scrittore del libro, nonché mio recensore preferito, Gianni della Cioppa. Ma bando alle ciance, veniamo al disco in se: “Resurrection” è un album vario ed eterogeneo, ideato anche per musicare un film o serie TV: ad esempio brani adatti possono essere “Eaters” o “Ogre’s Lullaby”; forse ciò che caratterizza maggiormente questo disco, oltre alla nota sopra riportata, sono le melodie tetramente oscure e il continuo uso di parti più elettriche ed horror, create dal synth. La stilistica del disco spesso raggiunge ritmi aggressivi e provocatori affiancati da una buonissima base creata dal tastierista Freddy Delirio; l’ album spesso risulta fortemente influenzato dall’ Industrial Metal e in maniera molto minore dal Doom e dallo Speed, dal’ altronde un po’ come gli ultimi dischi della band. Si può parlare forse dell’ anello mancante tra “Heavy Demons” e “Do What Thou Wilt”, grazie ad un giusto equilibrio tra le pesanti influenze Industrial e l’ Heavy/Speed Metal del capolavoro della band. Tra i migliori brani citiamo la pompata “Revived”, la già edita “The Darkest Night” e la soave “Dionysus”, senza dimenticare la cupa ed aggressiva “Eaters” e la più misteriosa “The song of Adoration”. A grande sorpresa scopro che il disco è stato autoprodotto dalla stessa band, e bisogna dire che anche qui Steve e co. sono riusciti a fare un buon lavoro: il suono è pulito e gli effetti vari si distinguono perfettamente, valorizzando così il disco. Direi che questa può essere considerata veramente la resurrezione dei Death SS, un concentrato di spunti, di idee e di melodie ben amalgamate; ora non attendo altro se non l’ opportunità di vederli live, sperando anche di potermi godere qualche brano di “Resurrection” pure dal vivo.

VOTO: 8,5/10
-SADIK-